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Mira Nair

MIRA NAIR LA REGISTA DEL DIALOGO
“IL FONDAMENTALISTA RILUTTANTE”




I film sono come degli specchi che rimandano a chi li guarda le contraddizioni del mondo moderno ed è questo che mi piace fare con il mio cinema.


Sono una regista indiana che si sente a casa sua ovunque nel mondo.


“Credo di essere venuta su questa terra per raccontare storie di gente che come me vive tra due mondi” così inizia la sua intervista alla conferenza stampa dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia, una Mira Nair sicura di se, che si esibisce in battute di spirito mettendo da parte per una volta il suo stile impegnato. C’è da scommettere che tanta sicurezza le viene dall’aver vinto una delle sfide più ardite della sua carriera, un progetto che tra alti e bassi è rimasto sul tavolo per sei lunghi anni: portare sul grande schermo dall’India agli Stati Uniti, una storia con protagonista un giovane pakistano alle prese con il grande sogno americano dopo ground zero. Nonostante Mira sia la prima regista donna ad aver mai vinto un Leone d’Oro- nel 2001 con Monsoon Wedding un film girato in appena trenta giorni- anche per lei il percorso per trovare i finanziatori indipendenti si è dimostrato, a dir poco, più difficile del solito. Nessuno credeva in un film con un giovane mussulmano come protagonista, sopratutto dopo l’11 settembre! E men che meno che un film del genere avrebbe avuto successo tra il pubblico europeo e americano, ormai totalmente alienato nei riguardi dei musulmani in Pakistan, un paese da tutti creduto un covo di terroristi. Ce l’ha fatta, grazie alla sua tenacia incrollabile e anche grazie a ragioni meno evidenti come lasciano intendere queste parole: “Il fondamentalista riluttante è un esercizio di guarigione personale e di riconnessione. Ci sono delle cose in me e nella mia famiglia che sono state colpite dagli eventi di questi ultimi dieci anni. Il film è un tentativo, tra le altre cose, di ricucire insieme i pezzi non negando le tensioni che sono venute a galla ma illustrando i modi in cui si può navigare tra loro ed essere umani malgrado tutto”.


L’ispirazione per il film le viene nel 2005 quando visita per la prima volta il Pakistan. Benchè Mira sia cresciuta come una Lahore, città del Pakistan da cui è originario il padre, parlando urdu la lingua dei pakistani, come molti indiani non aveva mai visitato quel paese. Mira rimane colpita dalla vitalità e dalla bellezza della cultura pakistana e decide di far conoscere al mondo quel Pakistan moderno di cui nessuno sa niente. L’occasione le si presenta appena sei mesi più tardi quando legge il libro, in parte autobiografico, di Moshin Hamid, autore pakistano che come Mira vive tra due culture convinto di poter appartenere a tutte due. Il libro racconta le vicende di un giovane pakistano che a New York diventa un piccolo genio della finanza, ma l’11 settembre del 2001 cambia ogni cosa e quella che era prima sentita come la sua casa diventa all’improvviso un posto poco accogliente. La città che prima lo aveva accettato tra le sue pieghe ora lo respinge come altro da se, un alieno. Il sogno americano gli sta mostrando una faccia che a dir poco incute timore. Mira ha più volte sottolineato nelle sue interviste di aver aprezzato nel libro di Moshin Hamid il dialogo elegante tra il protagonista, il giovane Changez e Bobby, un agente della Cia, un dialogo intelligente e fuori dagli stereotipi a cui i media ci hanno abituato. E’ a questo punto che Mira si convince di poter usare la storia di Changez per gettare un ponte tra le due culture e accorciare “la miopia e il monologo che caratterizza oggi, dopo l’11 settembre, lo scambio tra Est ed Ovest”. Gettare un ponte tra le culture è un altra ricorrente preoccupazione della regista. Per chi ha visto The Namesake-Il destino nel nome il film precedente del 2008, ricorderà le numerose inquadrature di un ponte che punteggiano la storia di Gogol ragazzo indiano nato in America, a suggerire la necessità ma anche la difficoltà di attraversare le culture, quella che l’immigrato si lascia alle spalle e quella che si trova davanti ad accoglierlo.
Mira con il suo film ha voluto far conoscere al mondo un Pakistan laico. Se con Monsoon Wedding  molti hanno scoperto che in India c’è anche una classe agiata, benestante, colta e internazionale, con Il fondamentalista riluttante  conosce un Pakistan laico e aperto al dialogo, un Pakistan moderno che vive di cultura ed è estraneo al fondamentalismo dei capi religiosi e dei terroristi. Con i titoli d’apertura, Mira va al cuore della cultura pakistana e per otto minuti ascoltiamo la musica coinvolgente di due dei più famosi musicisti pakistani Fareed Ajaz & Abu Muhammad Qawwad performare musica sufi. Non c’è solo un fondamentalismo come scoprirà ben presto Changez una volta tornato in patria. Quando arriva per lui il momento di confrontarsi con il fondamentalismo religioso del suo paese, si rende conto che non è per niente diverso dal fondamentalismo economico che si è lasciato alle spalle nella mecca della finanza a New York. Mira alla fine del film lancia il suo messaggio: “Due mesi fa” racconta Changez, diventato insegnante, agli studenti dell’università di Lahore “me ne stavo al 53esimo piano di un grattacielo a Manhattan vivendo il mio bel sogno americano. Ora sono tornato e vorrei scoprire con il vostro aiuto se esiste ‘un sogno pakistano’ che non ci costringa ad emigrare.”



Grazie a quest’indomabile donna indiana, tutte noi oggi, dopo aver visto i suoi film, siamo in una posizione migliore per capire il mondo, per guardare a quanto sta accadendo attorno a noi con occhi più competenti, lasciandoci alle spalle i logori pregiudizi e stereotipi che inquinano il dialogo tra le culture. E’ con il dialogo che il mondo si fa accogliente, ci dice con la consueta eleganza Mira Nair. “C’è un solo modo: imparare a guardare il mondo con gli occhi dell’altro”. Nata in una piccolissima cittadina dell’Orissa, nell’India nord-orientale, il 15 ottobre 1957 da un padre burocrate e da una madre artista e assistente sociale, la più piccola di tre fratelli, cresce come un maschiaccio e con un’incredibile energia fisica che le fa affibbiare il nomignolo di “treno espresso” in famiglia e ”tifone” dal secondo marito. E’ per contenere tutta questa energia che pratica con assiduità lo yoga ma ammette di non essere ancora riuscita a seguire la pratica più tranquilla della meditazione. Lascia la sua terra d’origine a soli 18 anni grazie ad una borsa di studio per l’università di Harvard vicino a Boston e dà così inizio alla sua vita di cittadina del mondo. Nel 1988 appena trentenne si impone all’attenzione della critica e del pubblico con il  lungometraggio Salaam Bombay!, sui bambini di strada, il film riceve premi a Cannes e una Nomination agli Oscar. Con i proventi del film è in grado di dar vita alla Salaam Baalak Trust una fondazione che si prende cura dei bambini di strada. Intanto di lì a poco, a Kampala in Uganda, Mira conosce il  secondo marito durante le riprese di Mississippi Masala, il film che nel 1991 la consacra a Venezia e le fa vincere tre premi. E sempre  a Kampala nel 2004 Mira fonda il Maisha Film Laboratory una scuola di cinema che sovvenziona giovani aspiranti registi e sceneggiatori africani. Grazie alla casa di produzione la Mirabai  infatti, Mira è in grado di finanziare non solo i suoi film ma anche progetti no-profit. “Il ciclone” Mira Nair ha portato  tanta intelligenza  ed eleganza nei suoi numerosi film dimostrando come il blending di due culture di cui lei è un esempio e un fiero portabandiera, diventi per chi lo ha scelto e ne fa buon uso, un asso nella manica, quella carta cioè che ti dà una chance in più per vincere.



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